Quella della patrona dell’Arcidiocesi di Crotone-Santa Severina non è (più) un’icona, perché in passato la rovina della tavola di legno sulla quale fu eseguito il dipinto ha imposto, per salvarlo, di trasferirlo su tela.
Il danno, però, non era dovuto all’antichità dell’opera, perché questa non risaliva all’inizio del Medioevo né era arrivata in Occidente dopo la caduta di Costantinopoli nelle mani dei Turchi (1453). Si suppone, invece, che fosse stata dipinta nella seconda metà del Quattrocento nell’ambiente artistico di Napoli, allora governata dagli Aragonesi.
La convinzione errata ma ancora molto diffusa che si tratti di un prodotto dell’arte bizantina dipende dal fatto che essa fu certamente realizzata tenendo conto del profondo legame del clero e del popolo crotonese con la tradizione religiosa orientale.
Tratto da Catalogo della Mostra “Virgo Lactans” promossa da Arcidiocesi Crotone Santa Severina – Ufficio Beni culturali Ecclesiastici e Gruppo Fai Crotone, a cura di Margherita Corrado - 2014
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Non è uno dei ritratti della Vergine eseguiti da san Luca Evangelista con l’aiuto divino, né fu trasferita a Capo Colonna da san Dionigi l’Areopagita (I sec.), presunto evangelizzatore di Crotone e primo vescovo della diocesi, ma è probabile che l’icona sia stata dipinta su commissione proprio per il santuario del Capo: uno dei luoghi di culto e pellegrinaggio costieri più rinomati del Mediterraneo già dal tardo Medioevo. Doveva forse sostituire un’icona più antica, – una Madonna allattante bizantina? –, per iniziativa di un ignoto personaggio di alto rango e trovare posto nella cappellina esistente almeno dal tredicesimo secolo.
Certo è che alla rovina della parte inferiore dell’immagine sacra, forse causata dal rogo turco del 1519, si tentò di rimediare con un restauro poco rispettoso dell’originale. Da principio, infatti, la Vergine era stata raffigurata seduta in trono, nell’atto umanissimo e sempre commovente di scoprire con la mano sinistra il seno destro per offrirlo al Bambino Gesù, aggrappato con entrambe le manine al polso materno e seduto sulla coscia sottostante senza che la mano destra della Madre facesse alcunché per sostenerlo. Annullato il trono e isolata la coppia Madre-Figlio dal contesto originale, il pesante mantello scuro che avvolge la Vergine fu allungato e irrigidito per disegnare l’alta figura in piedi a tutti nota, e solo allora alla base del dipinto comparve la fiamma che allude al primo miracolo noto: il già ricordato tentativo di distruggere l’icona col fuoco da parte dei corsari turchi che avevano dato l’assalto al santuario di Capo Colonna.
L’ultimo intervento sulla tela in ordine di tempo, quello eseguito a Cosenza dopo il furto sacrilego dell’ottobre del 1983, ha finalmente consentito ai Crotonesi di vedere il dipinto in tutto il suo splendore, di apprezzare la pulizia delle linee non meno che l’uso sapiente dei colori, di stupirsi davanti alla raffinatezza dell’abbigliamento della Vergine e del Bambino. Ha ridato evidenza, inoltre, al gesto dell’offerta del seno che l’annerimento progressivo della superficie pittorica aveva quasi cancellato, causando persino fraintendimenti interpretativi che si giustificano facilmente confrontando la tela esposta alla venerazione del pubblico nel mese di maggio di ogni anno con la riproduzione realizzata da Filippo di Falco nel 1913 per l’altare della Chiesa di Capo Colonna, fedele allo stato del dipinto originale a quella data.