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Crotone

Le origini tra mito e leggenda

“Crotone, città antichissima e, un tempo, prima d’Italia”, scriveva Petronio Arbitro nel Satyricon nel I sec. d. C.

La sua fondazione risale al 718 a. C., come dice Eusebio di Cesarea nel suo Chronicon, sebbene altre fonti la rimandino al 710 a. C., o al tempo di re Polidoro, nel 743 a. C.

Le coste basse e sabbiose del litorale ionico sono interrotte nei pressi di Crotone da frastagliamenti rocciosi di calcarenite fossilifera che si intervallano alle caratteristiche dune di argilla azzurra.                                           

Queste falesie, comprese tra Capo Alice e Capo Rizzuto, sono note dall'antichità come promontori Japigi. Attorno ad essi sono fioriti numerosi miti legati per lo più ai nostoi degli eroi greci, alle gesta di Eracle, al culto solare di Apollo e a quello di Hera. 

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Si narra che sul promontorio Lacinio, oggi noto come Capocolonna dove si trovano i resti del tempio di Hera Lacinia, si era fermato Eracle di ritorno dalla Spagna con i buoi sottratti a Gerione. Nel subire un tentativo di furto delle mandrie da parte di Lakinios, Eracle lo uccide, ed assieme a questi, per errore, ferisce a morte anche il figlio Kroton, eponimo della città che lì sarebbe stata fondata. Secondo un altro mito, questo territorio era stato donato ad Hera da Teti, madre di Achille. Era un sito particolare, dove tutto cresceva rigoglioso e spontaneo come una sorta di giardino delle delizie.

E ancora la tradizione racconta che Menelao, costeggiando questi luoghi, aveva assistito alla celebrazione di un culto eroico con riti che ricordavano la morte di Achille, proprio sul promontorio del Lacinio, dove donne abbigliate a lutto piangevano il celebre eroe.

Il promontorio Lacinio, oggi noto come Capo Colonna, è uno dei luoghi simbolo della grecità d'Occidente, uno dei siti archeologici più famosi della Calabria, ed anche uno dei santuari più importanti
e meglio conosciuti della Magna Grecia.

Tito Livio così descrive il tempio: "Distava dalla nobile città sei miglia il tempio di Giunone Lacinia, più nobile della stessa città, santo presso tutti i popoli. Ivi era un bosco sacro con fitta vegetazione di alberi di alti abeti; in mezzo al recinto aveva lieti pascoli dove ogni genere di bestiame sacro alla dea pascolava senza alcun pastore; a notte le greggi, separatamente, ciascuno secondo il suo genere, ritornavano alle stalle, giammai violati dalle insidie delle fiere o da inganno degli uomini. Pertanto, ricavati grandi frutti da questo bestiame fu fatta una colonna d'oro massiccio e fu consacrata, ed il tempio fu famoso non solo per la santità, ma pure per le ricchezze".

Secondo un’altra leggenda, la nascita di Kroton fu invece dovuta ad una profezia dell’oracolo di Apollo a Delfi. I grandi santuari dell'antichità praticavano infatti l'arte della divinazione a scopo sociale, politico e religioso e per questo venivano interrogati prima che fossero intraprese imprese importanti, quale la fondazione di una città. A Myskellos di Rhype fu ordinato di fondare una nuova città nel territorio compreso tra Capo Lacinio e Punta Alice. Giunto in quelle terre, Myskellos pensò che sarebbe stato meglio fermarsi a Sybaris, già ricca e accogliente piuttosto che affrontare i pericoli e le difficoltà nella fondazione di una nuova città. L’ira di Apollo lo convinse però a rispettare il responso dell’oracolo. Nelle Metamorfosi, Ovidio attribuisce , invece, ad Eracle l’ordine dato a Myskellos di recarsi sulle rive del fiume Esaro.

L’antica Kroton si distinse tra tutte le città della magna Grecia per la Scuola fondata dal filosofo Pitagora, nel 530 a. C., per quella medica, guidata da Alcmeone e Democede, e per quella atletica, il cui massimo rappresentate fu il leggendario Milone.

 

 

 

La Scuola atletica

Kroton è la prima città greca d’Occidente a vantare un olimpionico: il pugile Daippos (672 a.C. 27° Olimpiade).

Forte di innumerevoli vittorie negli agoni panellenici e alle Olimpiadi, la città s’impone sulla scena agonistica greca per la costanza e la continuità dei successi. Colpisce, infatti, non solo il numero di vittorie ma soprattutto la lunga serie – 49 -  ottenuta in un arco di tempo ristretto, tra 588 e 478 a.C.).

Per  centodieci anni il nome di Kroton echeggia nelle sedi degli agoni della periodos, il circuito delle quattro principali manifestazioni agonistiche elleniche.

E’ possibile ipotizzare, nella continuità delle vittorie e nella specializzazione krotoniate (gare di velocità e lotta), l’esistenza di una scuola atletica in città.

 

Tratto da “Mostra Iconografica – L’agonistica tra i Greci d’Occidente”  a cura di Santino Mariano e Gianluca Punzo

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Strabone accenna ad una radicata tradizione atletica, ha notizia di una gara dello stadion a Olimpia in cui i primi sette arrivati erano stati tutti krotoniati.

Pitagora, stabilitosi a Kroton dopo esser fuggito dalla sua isola natìa, contribuì alla nascita di un modus vivendi in città migliorando la già ben avviata scuola atletica krotoniate.  Alimentò la pratica sportiva con la creazione di un vero e proprio sistema educativo-sportivo.

 

 

 

Milone

Milone di Crotone fu il più celebre lottatore antico. 

Si narra che da ragazzo, per allenare la sua forza, portasse sulle spalle un vitello.

La sua prima vittoria alle Olimpiadi la ottenne a soli 15 anni: partecipò e vinse nella categoria della lotta; nel corso della sua vita fu capace di sei vittorie olimpiche disputate fra il 540 a.C. e il 512 a.C. e di altre sei vittorie a Delfi.

Andò ad Olimpia anche una settima volta per gareggiare nella lotta, ma non gli fu possibile combattere con il suo giovane concittadino Timasiteo, che non volle addirittura avvicinarglisi.

A detta dello storico Diodoro Siculo, tra l’altro, Milone fu il condottiero che permise a Crotone di sconfiggere il potente esercito della città rivale di Sibari nel 510 a.C.

 

Tratto da “Mostra Iconografica – L’agonistica tra i Greci d’Occidente”  a cura di Santino Mariano e Gianluca Punzo

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Si ritiene anche che Milone fosse un adepto o, quanto meno, un simpatizzante del filosofo Pitagora. Secondo una leggenda, Milone avrebbe salvato Pitagora dal crollo di un tetto. Un'altra storia asserisce che Milone sposò la figlia del filosofo, Myia

La fama di Milone fu grande anche in epoca moderna, come dimostra il dipinto del pittore italiano Giovanni Antonio Di Sacchio detto il Pordenone datato 1539.

Ma le gesta dell’atleta krotoniate erano note anche alla corte di Francia. Lo scultore Pierre Puget fu incaricato dal Re Luigi XIV di scolpire gli ultimi momenti di vita di Milone. L’opera, consegnata al sovrano nei giardini di Versailles nel 1682 e oggi esposta nel Museo del Louvre, esprimeva con tanta veridicità la sofferenza e l’abbandono delle forze dell’eroe che la regina, colpita da tanto dolore tradotto nell’immagine, esclamò “povero uomo”.

Secondo Pausania, il periegeta greco vissuto nella seconda metà del II sec. d.C., Milone morì ucciso da animali feroci: gli capitò infatti, nella Crotoniade, d’imbattersi in un ceppo di legno secco, tenuto aperto da cunei che vi erano conficcati. Milone, confidando nella propria forza, infilò le mani nel legno, ma i cunei si sfilarono e Milone, prigioniero nel tronco, rimase preda dei lupi.

Nelle rappresentazioni degli ultimi istanti della vita del grande atleta krotoniate, sia in quella dipinta dall’italiano sia in quella scolpita dal francese, si può notare una differenza rispetto al racconto di Pausania: Milone viene aggredito e dilaniato da un leone e non da un lupo. 

La scelta degli artisti può avere una spiegazione: il re della lotta e dello sport antico viene azzannato e finito dall’unico animale che avrebbe potuto ghermirlo ovvero il re degli animali.

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